Per soddisfare esigenze di interesse condominiale, l’assemblea può modificare la destinazione d’uso di una o più parti comuni.
La “destinazione d’uso” è la specifica funzione che il bene comune ha assunto fin dall’inizio, con la conseguenza che in base a tale destinazione ogni condomino può trarne il relativo vantaggio, cioè quello conforme: per esempio se un locale condominiale è adibito a locale lavanderia, i condomini possono trarre il solo vantaggio di installare lavatrici e stenditoi, e non altri, come per ipotesi parcheggiarvi biciclette.
Quando la volontà dei condomini è quella di trarre da certi spazi comuni un vantaggio diverso, magari, più consono alle esigenze quotidiane odierne e diverse da quelle inizialmente esistenti all’epoca della costruzione dell’edificio, è possibile sottoporre all’assemblea la modifica di certe destinazioni.
Premesso che, sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.
Si pensi, ad esempio alla decisione di modificare la destinazione d’uso del locale portineria, soppresso il servizio, in locale per il rimessaggio delle biciclette oppure in un locale dove fare le riunioni di condominio. Che dire del terrazzo un tempo adibito a stenditoio comune, oggi potrebbe essere utilizzato come solarium.
La differenza tra uso della cosa comune da parte del singolo condomino ed innovazioni del bene comune sta tutta nel soggetto che ha eseguito l’intervento e nella sua incidenza sulle parti comuni.
Ossia, un’innovazione non può mai essere considerata alla stregua di un uso della cosa comune da parte del singolo condomino, ma quest’ultimo deve uniformarsi anche ai parametri indicati per valutare la liceità degli interventi innovativi.
Si tratta della possibilità per tutti i condòmini di utilizzare le cose comuni a proprio esclusivo vantaggio; infatti, la funzione primaria dei beni comuni è quella di consentire il miglior godimento delle unità immobiliari a tutti i condòmini, ciò non vuol dire che tali parti dell’edificio non possano avere altre autonome utilità rispetto agli interessi dei singoli condòmini.
Così, si può anche decidere, una volta modificato, di dare in locazione o vendere il bene comune. Ovviamente, quando si modifica un bene comune, si intende anche una modifica che comporti il passaggio da uso condominiale ad uso privato. Ad esempio, vendere a terzi il locale portineria per realizzare un monolocale abitativo esistendone i presupposti urbanistici. Il condominio potrebbe così liberarsi di un locale inutile che peraltro genera costi, ottenendo in cambio una somma di denaro da dividere poi tra i condomini secondo millesimi. O ancora meglio da investire in opere di manutenzione e/o migliorative dell’edificio stesso.
Per concludere ricordiamo che, perché la modifica della destinazione d’uso sia lecita, deve in ogni caso rispettare precise prerogative. Rispondere a esigenze di interesse condominiale, ossia un interesse collettivo. Tutti i condomini devono, potenzialmente poterne trarre un vantaggio, in modo da avere tutti interesse alla modifica. Inoltre, non deve pregiudicare, proprio perché vietato, la stabilità o la sicurezza dell’edificio, ne alterarne il decoro architettonico.
Comments